Mine-haha, Frank Wedekind. Recensione
Quello di Wedekind fa parte dei romanzi finiti nelle mia libreria a causa di un film. Un film visto tardi, per caso e tanti anni fa.
Un film dal titolo misterioso, affascinante e, per qualche oscuro aspetto, inquietante: L'educazione fisica delle fanciulle di John Irvin.
A distanza di tempo, leggendo il romanzo, mi sono resa conto delle inevitabili discrepanze tra questa opera e la sua trasposizione cinematografica. Differenze, che, per alcuni aspetti, mi hanno permesso di capire meglio cosa stavo leggendo.
Cosa è Mine-Haha?
Come il titolo che sta impresso sulla copertina, il romanzo di Frank Wedekind è un piccolo mistero. Potete immaginarlo come l'alta (eppure quasi invisibile) recinzione che percorre tutto il gigantesco parco in cui circa duecentodieci fanciulle vengono educate nel corso di sette anni.
Educazione, qui, che non ha nulla a che vedere con una preparazione scolastica.
Le ragazze, infatti, vengono preparate "fisicamente", cioè addestrate nella danza e nella musica e la loro vita si svolge come una lenta e ordinata staffetta, per cui le più grandi si occupano delle più piccole che, a loro volta, una volta cresciute, si occuperanno delle nuove arrivate.
Qual è lo scopo di questa educazione?
Wedekind non lo dice, non del tutto, almeno.
Sappiamo solo che le ragazze più grandi, una volta diventate responsabili di una casa, ogni sera si recano al Teatro, una struttura circolare il cui accesso avviene mediante un treno sotterraneo. E nel teatro avvengono rappresentazioni che hanno una leggera sfumatura erotica, fatta di abiti semitrasparenti e di esercizi ginnici.
Oltre alle ragazze che restano nel parco sette anni, ci sono "le prescelte". Di loro sappiamo solo come avviene la selezione, e le vediamo scomparire misteriosamente dal racconto e dalla memoria delle altre ragazze, appena questa avviene.
Mentre quelle che rimangono, una volta raggiunta la pubertà (anche qui, Wedekind non parla mai esplicitamente, ma attraverso le sensazioni della protagonista, voce narrante del breve romanzo), vengono fatte uscire dal parco (di cui abbiamo solo una sommaria descrizione) e condotte, tra due ali di folla festante, nel Campidoglio. Per quale motivo? Non lo sappiamo, perché arrivati a questo punto, il romanzo si interrompe.
Mine-Haha è un romanzo onirico e con caratteristiche proprie di una distopia. Il grande parco recintato, da cui è severamente vietato tentare di evadere, pena la reclusione a vita (come avviene alle sfortunate e orribile serve della casa in cui si trova Hidalla, la voce narrante) rappresenta, infatti, tutto il mondo conosciuto dalle ragazze che vi sono rinchiuse.
Arrivate nel parco da piccolissime (probabilmente depositate già in fasce), arrivate ad una certa età vengono separate dai compagni maschi, con cui hanno condiviso una parte dell'infanzia in una casa che è, a tutti gli effetti, un orfanotrofio.
La cerimonia di passaggio in una delle "case di formazione" è particolare e ricorda l'evoluzione di una farfalla (o la cerimonia di "morte in vita" descritta da Verga in Storia di una capinera): chiuse in una cesta, vengono portate via e fatte uscire in una casa completamente nuova, lavate e rivestite.
Per sette anni non avranno contatto con altri che con le proprie compagne: la loro vita è scandita dagli esercizi fisici e musicali, arrivando perfino a dubitare che vi siano le stelle nel mondo esterno.
La descrizione degli ambienti è la parte più bella del romanzo: si ha l'impressione fisica di attraversare i giardini e immergersi nelle acque fredde del ruscello. Le immagini descritte da Wedekind hanno la forza visiva di piccoli quadri a olio, dove la luce si riflette sulle foglioline appena spuntate da un albero in fiore.
E questo, che rende bella la lettura di Mine-haha: lettura della storia di una vita che per quattordici anni ha vissuto come immersa nella foschia del sogno.
In appendice si trova un interessante saggio di Roberto Calasso, che aiuta a capire meglio l'intero romanzo.