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Cerimonia di SAngue - T.E.D. Klein

Cerimonia di sangue - T. E. Klein
La prima versione di Cerimonia di sangue è un racconto, I fatti di Poroth Farm, pubblicato nel 1978 (chi volesse leggerlo, può trovarlo nel primo numero nella rivista di letteratura del weird e del fantastico Hypnos) ed è in questa prima versione che l'ho letto e sono venuta a conoscenza di T.E.D. Klein
 
Il racconto mi aveva letteralmente conquistata, sia per lo stile di Klein che per la storia. 
 
E, a differenza del romanzo, non mi ha lasciata con quel senso di "incompiutezza" addosso; la sensazione di essere arrivata a pochi metri dalla scoperta di una meraviglia senza avere la possibilità di compiere quegli ultimi, decisivi passi.
 
Perché il problema di Cerimonia di sangue è che mancano delle pagine tra il corpo centrale e la parte finale e che tutto si concluda troppo in fretta. Come se Klein, arrivato ad un certo punto (praticamente, intorno alla parte nona) si fosse stancato del romanzo, decidendo di chiudere tutto e subito una storia che non lo appassionava più.
O, almeno, è questa l'impressione che ne ho ricavato.
 
La trama, rispetto al racconto, ha uno sviluppo più articolato e, a parte alcune caratteristiche estrapolate da I fatti, se ne distacca notevolmente.
 
Il protagonista, il trentenne Jeremy Freirs, newyorchese panciuto e docente di letteratura, approda a Gilead (una sorta di comunità amish), per immergersi nella lettura di voluminosi testi di storie dell'orrore gotico, alla ricerca di un'idea per una tesi. Ad accoglierlo sono due suoi coetanei: l'ombroso Sarr Poroth e sua moglie, la spumeggiante Deborah.A far da contrappunto a Jeremy c'è Carol, ragazza di campagna che approda a NewYork spinta da una presunta vocazione e che, dopo qualche anno di noviziato, abbandona il velo alla ricerca del suo vero "scopo". I due, manipolati da un vecchietto tanto indifeso quanto diabolico, si incontrano nella biblioteca dove Carol lavora e si innamorano. 
Attorno a questo, che è il nucleo della trama, si svolge la storia, fatta di riti misteriosi e arcani messi in opera dal vecchietto di prima, che hanno come obiettivo finale il risveglio di una creatura tanto antica quanto maligna, destinata a corrompere e distruggere la Terra.
 
Il romanzo, strutturato in dieci parti, si sviluppa nel corso di un'estate, dal 1° maggio al 31 luglio, con la descrizione dei vari riti e delle vicende che toccano i personaggi di Klein.
 
La narrazione passa dalla prima persona, con il diario tenuto da Jeremy, alla terza persona; dal participio passato (quando a narrare è la voce dell'autore) al presente, quando chi racconta è l'Antico, ovvero il vecchio Rosebottom, colui che trama per il risveglio del Verme.
 
Lo stile di Klein è sempre impeccabile e coinvolgente, anche se, devo ammetterlo, l'ho trovato più efficace nel racconto.
 
La parte più bella del romanzo è rappresentata, indubbiamente, dallecontinue citazioni e riferimenti a romanzi e raccolte di racconti dell'orrore gotico sconosciuti ai più.
 
Stranamente, è più facile per il lettore parteggiare per i Poroth che per Jeremy o Carol, per quanto alcuni tratti di Carol li abbia trovati straordinariamente familiari.
 
Se le prime cinquecento pagine sono una lenta discesa verso il rito finale, quella Cerimonia Scarlatta che permetterà il risveglio della creatura, le ultime cento sono una corsa annoiata verso una conclusione. Tanto ho trovato piacevole lasciarmi trasportare dalla lenta progressione degli eventi nella prima parte, tanto ho sofferto quando Klein ha premuto sull'acceleratore per chiudere -e in fretta- il suo romanzo.
 
E, paradossalmente, proprio la Cerimonia Scarlatta, quel rituale finale che avrebbe avuto bisogno (a mio avviso) di un più lento e approfondito svolgimento, si consuma in una manciata di pagine e in poche ore, in una confusione di azioni e parole che non danno soddisfazione, affatto.
 
E l'Epilogo, così diverso dalla conclusione dei fatti di Poroth Farm, ha quel sapore da happy ending che no, davvero, non mi sarei mai aspettata.
 
Il giudizio, in complesso, è positivo, con un grande "se" finale.
E se Klein avesse avuto pazienza? Di certo sarebbe stata una storia migliore. 
 
Citazioni                                               
 
Oppure... sì, ecco che cos'era... le finestre. Le finestre sul retro. Erano troppo grandi, troppo vicine agli alberi, e gli alberi parevano incombere sulla casa in una maniera che non gli piaceva affatto. Mentre quelle anteriori davano su un grande prato bagnato dai pallidi raggi del sole del tardo pomeriggio, le finestre sul retro sembravano aprirsi su un altro mondo, su un crepuscolo di rami intrecciati e ombre scure. Non offrono protezione, stabilì. [p. 26]
 
Aveva sempre creduto di avere almeno un decennio davanti a sé. Aveva creduto di avere più tempo per prepararsi. Non si era resa conto che l'evento era così prossimo. Previsto per quell'anno. Per quel maggio.
Per quell'estate. [p. 55]
 
...un ragazzo del vicinato che passava le serate a guidare senza meta sulla superstrada; e la nonna materna, severa e sola nella sua camera in fondo al corridoio, che le spiegava perché si addormentava sempre dopo le dieci; "Perché se al mattino mi svegliassi prima, la giornata sarebbe troppo lunga." [p. 88]
 
credeva ancora... anche se alcuni l'avrebbero derisa per questo... diavere un destino. A volte guardava la propria vita passata e percepiva una ragione precisa per ogni evento, una ragione che splendeva come un filo d'oro e che alla fine l'avrebbe condotta a un obiettivo audace e magnifico. [p.94]
 
L'autore                                            
 
T.E.D. Klein (vero nome Theodore "Eibon" Donald Klein ), nato nel 1947 è uno scrittore ed editore americano. Ha pubblicato pochissimi lavori, che hanno ricevuto importanti apprezzamenti e recensioni positive. Ha collaborato alla sceneggiatura di Trauma, film di Dario Argento. Cerimonia di sangue è il suo unico romanzo. 

[Ulteriori informazioni su T.E.D. Klein qui]
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SPOILER ALERT!

Cuore di cane - Mikhail Bulgakov

Cuore di cane - Mikhail Bulgakov, Viveka Melander
Quella narrata da Bulgakov in questo breve romanzo satirico è la storia di una metamorfosi che rappresenta, anche, la storia della metamorfosi della società sovietica a seguito della rivoluzione d'ottobre e della crisi economica che seguì la guerra.
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Mine-haha, Frank Wedekind. Recensione

Mine-Haha ovvero Dell'educazione fisica delle fanciulle - Frank Wedekind
Quello di Wedekind fa parte dei romanzi finiti nelle mia libreria a causa di un film. Un film visto tardi, per caso e tanti anni fa. 
Un film dal titolo misterioso, affascinante e, per qualche oscuro aspetto, inquietante: L'educazione fisica delle fanciulle di John Irvin
A distanza di tempo, leggendo il romanzo, mi sono resa conto delle inevitabili discrepanze tra questa opera e la sua trasposizione cinematografica. Differenze, che, per alcuni aspetti, mi hanno permesso di capire meglio cosa stavo leggendo.
 
Cosa è Mine-Haha?
Come il titolo che sta impresso sulla copertina, il romanzo di Frank Wedekind è un piccolo mistero. Potete immaginarlo come l'alta (eppure quasi invisibile) recinzione che percorre tutto il gigantesco parco in cui circa duecentodieci fanciulle vengono educate nel corso di sette anni. 
Educazione, qui, che non ha nulla a che vedere con una preparazione scolastica.
Le ragazze, infatti, vengono preparate "fisicamente", cioè addestrate nella danza e nella musica e la loro vita si svolge come una lenta e ordinata staffetta, per cui le più grandi si occupano delle più piccole che, a loro volta, una volta cresciute, si occuperanno delle nuove arrivate.
 
Qual è lo scopo di questa educazione?
Wedekind non lo dice, non del tutto, almeno. 
Sappiamo solo che le ragazze più grandi, una volta diventate responsabili di una casa, ogni sera si recano al Teatro, una struttura circolare il cui accesso avviene mediante un treno sotterraneo. E nel teatro avvengono rappresentazioni che hanno una leggera sfumatura erotica, fatta di abiti semitrasparenti e di esercizi ginnici.
 
Oltre alle ragazze che restano nel parco sette anni, ci sono "le prescelte". Di loro sappiamo solo come avviene la selezione, e le vediamo scomparire misteriosamente dal racconto e dalla memoria delle altre ragazze, appena questa avviene.
Mentre quelle che rimangono, una volta raggiunta la pubertà (anche qui, Wedekind non parla mai esplicitamente, ma attraverso le sensazioni della protagonista, voce narrante del breve romanzo), vengono fatte uscire dal parco (di cui abbiamo solo una sommaria descrizione) e condotte, tra due ali di folla festante, nel Campidoglio. Per quale motivo? Non lo sappiamo, perché arrivati a questo punto, il romanzo si interrompe.
 
Mine-Haha è un romanzo onirico e con caratteristiche proprie di una distopia. Il grande parco recintato, da cui è severamente vietato tentare di evadere, pena la reclusione a vita (come avviene alle sfortunate e orribile serve della casa in cui si trova Hidalla, la voce narrante) rappresenta, infatti, tutto il mondo conosciuto dalle ragazze che vi sono rinchiuse. 
Arrivate nel parco da piccolissime (probabilmente depositate già in fasce), arrivate ad una certa età vengono separate dai compagni maschi, con cui hanno condiviso una parte dell'infanzia in una casa che è, a tutti gli effetti, un orfanotrofio. 
La cerimonia di passaggio in una delle "case di formazione" è particolare e ricorda l'evoluzione di una farfalla (o la cerimonia di "morte in vita" descritta da Verga in Storia di una capinera): chiuse in una cesta, vengono portate via e fatte uscire in una casa completamente nuova, lavate e rivestite.
Per sette anni non avranno contatto con altri che con le proprie compagne: la loro vita è scandita dagli esercizi fisici e musicali, arrivando perfino a dubitare che vi siano le stelle nel mondo esterno. 
 
La descrizione degli ambienti è la parte più bella del romanzo: si ha l'impressione fisica di attraversare i giardini e immergersi nelle acque fredde del ruscello. Le immagini descritte da Wedekind hanno la forza visiva di piccoli quadri a olio, dove la luce si riflette sulle foglioline appena spuntate da un albero in fiore.
 
E questo, che rende bella la lettura di Mine-haha: lettura della storia di una vita che per quattordici anni ha vissuto come immersa nella foschia del sogno.
 
In appendice si trova un interessante saggio di Roberto Calasso, che aiuta a capire meglio l'intero romanzo.
Source: http://letturepericolose.blogspot.it/2014/04/mine-haha-frank-wedekind.html#more
So già che il romanzo sarà tradotto. Per esempio in inglese, in francese, in tedesco e in altre lingue. Com'è possibile, in questo caso, non offrire un po' di colore locale?
Per questo ho utilizzato (due volte) l'aggettivo perturbato. L'ha fatto anche Garcia Marquez! Ugualmente a tale scopo, c'è fioritura di cadaveri. Suppongo (e Lei lo saprà meglio di me) che, all'estero, ci si aspetti da noi esuberanza, tropicalità.
Insomma: eccessi. Maiali volanti o cadaveri. Prudentemente mi domando: è così?
Io, nel dubbio, offro cadaveri.

da Il cadavere impossibile di José Pablo Feinmann, MarcosYMarcos editore

Il cadavere impossibile - José Pablo Feinmann

Il cadavere impossibile - José Pablo Feinmann
Ho letto Il cadavere impossibile su suggerimento di una ragazza conosciuta su Facebook. Stavamo parlando di letteratura dell'orrore e di cliché narrativi e lei, che aveva appena terminato di leggerlo, mi ha consigliato di fare altrettanto.
La particolarità del romanzo in questione sta, probabilmente, nell'autore; Feinmann, infatti, non è un "semplice" romanziere ma, prima di tutto, un docente di filosofia all'università di Buenos Aires. 
Ha attinenza il suo lavoro con la sua scrittura?
Certo che sì.
Leggere Il cadavere impossibile è leggere, infatti, non un romanzo vero e proprio ma la storia di quel romanzo narrata attraverso la lettera a un editore. La raccapricciante storia della "piccola Anna" si sviluppa proprio all'interno della lettera che l'aspirante scrittore indirizza a uno sconosciuto editore.
 
Il romanzo di Feinmann è,  in sostanza, un lungo soliloquio che lo scrittore X fa con il pubblico (rappresentato dall'editore Y). 
Ho una storia da sottoporle, dice lo scrittore, e la racconta, quella storia, provvedendo, dove serve, ad aggiungere note a margine, postille, dubbi su aggettivi, cesure. Si interrompe, di tanto in tanto, per rivolgere all'editore domande su come pensa sia meglio far svolgere una determinata scena. E poi continua la sua narrazione che ha tutti -davvero tutti- gli stereotipi, e gli aggettivi e le situazioni sfruttati dai romanzieri e dagli sceneggiatori di horror. Tra cui, ovviamente, sangue a fiumi.
 
Ma sotto, nascosto dietro tutto l'orrore che è possibile condensare in cento pagine, gorgheggia un fiumiciattolo di ironia che ogni tanto zampilla fuori e più spesso resta nascosto, ma sempre presente.
 
Guardate, dice Feinmann,  le cose che vi terrorizzano sono tutte racchiuse in questa manciata di situazioni, di aggettivi, di parole, di verbi. Non li trovate buffi? Non li trovate ridicoli, messi tutti assieme?
 
Ecco, questo romanzo l'ho trovato geniale proprio per questa nota di fondo. 
La storia di Anna (la piccola, piccola Anna), che nasce nell'orrore e termina con l'orrore ed è venata da una striatura di dolcezza (perchénon esiste una buona storia dell'orrore senza l'amore) è, in realtà, un disvelamento di tutte quelle caratteristiche che ci fanno piacere la letteratura dell'orrore. È come assistere, in sostanza, al lento spogliarello di un genere letterario e cinematografico.

Con l'immancabile e fantastico doppio colpo di scena finale.
Source: http://letturepericolose.blogspot.it/2014/04/il-cadavere-impossibile-jose-pablo.html#more
SPOILER ALERT!

Un mondo sinistro - Vladimir Nabokov

Un mondo sinistro - Vladimir Nabokov, Franca Pece
Iniziamo col dire che Un mondo sinistro non è un romanzo semplice. Non è un romanzo facile da leggere e da interpretare perché Nabokov usa volutamente uno stile confusionario (si passa dalla terza alla seconda alla prima persona) abbinato a un linguaggio che cambia in continuazione (tedesco; un idioma inventato; francese; italiano [in originale]) e contorsioni lessicali, per completare tutto con ampi brani di pseudo-filosofia, pseudo-critica letteraria e pseudo-scienza politica.
Quindi, metterei un ATTENZIONE a lettere cubitali: se state per avvicinarvi a questo romanzo, sappiate che potreste abbandonarlo dopo poche righe
 
Perché, allora, leggerlo? 
Perché Un mondo sinistro è una distopia contemporanea a 1984 di Orwell (<3), autore che Nabokov disprezzava apertamente. Perché Nabokov appartiene a quella cerchia di russi fuoriusciti che vissero per anni in America; perché, rispetto a tentativi recenti di satira politico/distopica, questo romanzo è scritto con nessun intento se non quello di raccontare, con un linguaggio studiatamente grottesco (nei contenuti e nella forma), l'esordio grottesco di un regime dittatoriale e le sue grottesche conseguenze. *la ripetizione di "grottesco" è voluta, né XD*
 
Ma prima di tutto, e sotto tutte le cinconvoluzioni lessicali, Un mondo sinistro è la storia di un uomo e di suo figlio. Un uomo, Adam Krug, da poco vedovo, che si trova, in poche settimane, a dover affrontare oltre alla vedovanza (e al pudore che gli impedisce di dire al figlio di otto anni che la mamma è morta) l'ecatombe di amici che il regime ekwilista sta facendo attorno a lui. 
 
Quindi, il romanzo è principalmente la storia di Adam Krug che l'autore tratta spesso da personaggio, intervenendo spesso con sue intrusioni (sue=di Nabokov) e forzando il suo ruolo di deus ex-machina quando le cose per il suo protagonista si fanno atrocemente dolorose.
 
Un mondo sinistro è, per certi aspetti, un romanzo teatrale, che rispecchia tratti della commedia di Shakespeare (con il personaggio che si rivolge al pubblico, riportando lo spettatore alla realtà della finzione cui sta assistendo). Ed è un romanzo in cui il palcoscenico è rappresentato dallo Stato, in cui Krug vive.Così, mentre la moglie di Krug muore in un letto d'ospedale, all'esterno da quella struttura, lo Stato viene travolto da una rivoluzione e dall'insediamento di un regime che ha come obiettivo quello di rendere tutti uguali.Uguaglianza, quella del nuovo Stato in cui si sposta il fresco vedovo Adam Krug, che non è quella sociale o economica, ma mentale e spirituale.
L'ekwilismo del dittatore Paduk (ex compagno di scuola di Krug e vittima del bullismo dei ragazzi durante l'adolescenza), infatti,propugna l'uguaglianza di carattere e di educazione, in modo che nessuno sia migliore di un altro: in pratica l'obiettivo dell'ekwilismo è l'omologazione caratteriale e mentale dei cittadini.
 
Non la trovate una distopia agghiacciante? 
 
E Krug che ruolo ha in questa storia? 
Da sempre estraneo a ogni gruppo, Krug rifiuta di partecipare alla nuova vita che lo Stato ekwilista gli ha assegnato (il rettorato dell'università che verrà riadattata a istituto di alfabetizzazione, più o meno). Solo quando viene arrestato e costretto alla separazione dal figlio, solo allora Krug sarà disposto a capitolare, mosso non dalla paura per se stesso ma dall'amore e dalla volontà di protezione del piccolo Arvid, suo figlio.
 
---ATTENZIONE SPOILER---
Ma ecco che, per l'inettitudine di coloro che sono stati incaricati dell'arresto, il figlio di Krug, Arvid, viene prima smarrito e poi assegnato a un istituto per il recupero di criminali particolarmente violenti.In un tripudio si esecuzioni sommarie e immediate, per compensare al madornale errore compiuto, il romanzo si conclude con la pazzia di Krug e un'ultima dichiarazione dell'autore che cala, alzandosi dalla scrivania su cui posano le pagine del manoscritto, il suo sipario.
(show spoiler)
---SPOILER FINE---
 
Bonus Track: Tra le parti interessanti, troviamo anche una piccola traccia di Lolita nel romanzo; una parte della Lolita che Nabokov scriverà qualche anno dopo. E anche Krug, a leggerne certi passi, ha alcune caratteristiche che ritroveremo nel prof Humbert Humbert.
 
Come sempre, nonostante alcune difficoltà, è un romanzo che consiglio, soprattutto se, come la sottoscritta, siete appassionati di distopie :)
 
 

 

Source: http://letturepericolose.blogspot.it/2014/03/un-mondo-sinistro-vladimir-nabokov.html

Recensione

Il politico (Storie / Racconti) - Pee Gee Daniel
l romanzo di Pee Gee Daniel (pseudonimo diPierluigi Straneo), ha per protagonista il nulla. Il politico è un uomo di cui non sappiamo nulla, che non ha nemmeno un nome (nello sviluppo della storia verrà chiamato sempre e solo con due appellativi e mai con il suo vero nome), che non ha una storia, che non ha, soprattutto, cervello.
 
Chi è Il politico? Un bestione appannato, con le palpebre cascanti, silenzioso, affatto scaltro ed elementare, che vive semplicemente di istinto, di azioni dirette, di monosillabi e di violenza. 
Di quest'uomo osserviamo la scalata verso il potere. Una scalata per certi versi fortuita, assolutamente casuale, dettata solo da un insieme di coincidenze e di errori di valutazione.
 
Ma se il politico è uno stupido, non sono da meno i personaggi che gli si muovono attorno e che, per una precisa scelta dell'autore, rappresentano ciascuno una caricatura stereotipata di un certo tipo umano: dall'uomo di destra, a quello di sinistra, passando per industriali corruttibili e ragazze decerebrate, fino ad arrivare a una massa elettorale plagiabile e belante.
 
Il romanzo di Pierluigi Straneo potrebbe sembrare, ad una lettura superficiale, un'accozzaglia di luoghi comuni che sono digeribili soltanto sfruttando il punto di vista e l'obiettivo dell'autore: ovvero mostrare una realtà politica e sociale iperstereotipata, dove vincono non solo i corrotti ma anche coloro che, pur non avendo nulla dentro (eil politico dentro non ha nulla: né sentimenti, né ideali, né un cervello), riescono a trovarsi al posto giusto nel momento giusto. E a fare carriera, arrivando a sedere nel circolo ristretto di quelli che hanno il potere di decidere le sorti di una popolazione.
 
Un romanzo agghiacciante, sul possibile futuro di una società anch'essa vuota e sonnecchiante; una distopia di violenza e stupidità.
Source: http://letturepericolose.blogspot.it/2014/03/il-politico-pee-gee-daniel.html

Anime Assassine. La vendetta del cigno nero - Diego Collaveri

Anime Assassine - Diego Collaveri

Anime Assassine. La vendetta del cigno nero è il secondo capitolo delle avventure dell'ispettore Quetti, personaggio creato da Diego Collaveri. Tabagista incallito, armato di un "sesto senso e mezzo" (cit.) per gli indizi e incapace di resistere alle richieste di aiuto di belle e giovani donne. Soprattutto se queste sono amiche d'infanzia, con le quali si è condivisa una parte importante di vita e alle quali si è sacrificato un pezzo di anima.

Inizia così l'indagine di Quetti: una richiesta d'aiuto che proviene da Silvie Blake, indimenticata compagna di giochi e ricordi, che un mattino piomba nell'ufficio dell'ispettore scompaginandogli i piani settimanali (e le pulsazioni cardiache) chiedendogli di prendersi una settimana di ferie e aiutarla a rintracciare Sweetyhell, amica e modella per la marca di abbigliamento goth di cui Silvie è la stilista. La ragazzina è scomparsa volontariamente, come suggeriscono i colleghi di Quetti o sotto c'è dell'altro? Quando il cadavere di Sweetyhell viene ritrovato circondato da simboli satanici, oggetti di bdsm e una piccola statuina di cristallo a forma di cigno, Quetti intuisce che dietro il serial killer chiamato Cigno nero si celano i contorni di una vendetta tanto terribile quanto raffinata.

Una lettura fatta di notte, mentre la gatta dormiva sul bordo del letto e il marito russava accanto; il romanzo di Diego Collaveri è stato un piacevole passatempo che ha dato il meglio nelle descrizioni dei locali fetish dove Quetti e Silvie si muovono, alla ricerca di indizi. L'ambiente del bsdm in cui Silvie si trova a lavorare e in qui Quetti è costretto, suo malgrado, a presenziare viene tratteggiato con particolare attenzione e perizia, mostrando una approfondita opera di documentazione avvenuta prima della stesura del romanzo.

Ah, ma allora è un giallo erotico? Non che si sarebbe niente di male ma non lo definirei un giallo propriamente erotico anche se è imbevuto da una costante carica sensuale e passionale; questo perché le scene a "luci rosse", che pure ci sono (e non potrebbe essere altrimenti, dato che per il settanta per cento della lettura le azioni si svolgono in ambienti dove la componente sessuale è parte predominante), vengono sempre offerte al lettore mostrandole dal punto di vista del personaggio: così Silvie assiste a un amplesso di Miele, uno dei personaggi, ma in un corridoio buio e sotterraneo, per cui l'immagine che ne riporta è di un qualcosa visto a metà, nella penombra. E se c'è una cosa che apprezzo negli autori è proprio quando mostrano le scene usando la visuale dei propri personaggi: ti immerge nella storia e te ne rende partecipe a un livello differente della narrazione in terza persona.

Se vogliamo concentrarci sulla pista gialla che costituisce la base della trama, la storia si snoda in maniera classica, lineare, preservando però un suo grado di suspense, tanto che fino alle penultime pagine non è chiaro se l'assassino sia o meno Silvie. A mio parere, è uno dei migliori pregi di chi scrive thriller o gialli saper riuscire a tenere coperte le proprie carte fino alla fine. Inoltre la rivelazione delle motivazioni della vendetta del cigno nero appare coerente e verosimile, lasciando il lettore soddisfatto alla fine della lettura.

Il rapporto che lega i due protagonisti, Silvie e Quetti, si gioca su una sottile e persistente corrente di attrazione e ironia, che l'autore decide di mostrare attraverso gesti, più che parole, come il "gioco della sigaretta", quel rubarsi la cicca dalle labbra che ha tra le sue chiavi di lettura quella di un gioco dalla forte carica sensuale ed erotica.

La caratterizzazione dei personaggi è un altro punto a favore: ciascuno degli attori della storia scritta da Collaveri,per quanto piccola o breve possa essere la sua parte, ha una propria e ben definita personalità. Impossibile non innamorarsi della dolcezza di Miele o restare indifferenti alle lusinghe verbali di Lady Amelia, mistress e proprietaria del Black Mamba.


Personalmente vi consiglio di metterlo in wishlist per la lettura :)

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Lo sguardo del Diavolo, Andrea Franco. Recensione

Lo sguardo del diavolo: Jeffrey Dahmer: 1 (Serial Killer) - Andrea Franco
Lo sguardo del diavolo: la vera storia di Jeffrey Dahmer di Andrea Franco fa parte di Serial Killer; una collana, edita dalla Delos Digital, di monografie in ebook dedicate esclusivamente agli assassini seriali. Poteva, la sottoscritta, che da grande voleva fare la criminologa come il cinquanta percento delle fanciulle italiane, lasciarsi sfuggire questa lettura? 
Affatto.
 
Le circa novanta pagine che compongono il romanzo sulla vita di Dahmer, complice la scrittura ineccepibile dell'autore, si consumano in un giorno di lettura continuata. In effetti è difficile staccare gli occhi dal kobo finché non si arriva alla parola fine. Merito non soltanto della capacità narrativa di Franco, ma anche della sua abilità nel calarsi nei panni del Serial Killer in questione, catturando frammenti di un'esistenza affamata di oscurità attraverso episodi di vita familiare, dall'infanzia al momento della cattura fino agli ultimi istanti di vita.
 
Non ci sono tracce di pietismo o di condanna, anzi, la narrazione di Franco è neutrale, quasi priva di tono. Riuscendo, in questo modo, a far capire, più di decine di trattati sul fenomeno degli omicidi seriali, l'assoluta vacuità che anima questi soggetti. Il vuoto dell'anima di un'esistenza senza altro desiderio che quello di soddisfare il proprio demone interno. 
 
Altra caratteristica che ho trovato piacevole è la scelta, fatta dall'autore, di non indugiare in immagini truculente, come pure ci si aspetterebbe da una simile lettura.  Al contrario le scene di violenza sono soltanto accennate o mostrate di sfuggita, come una porta che si apre e lascia vedere lo spicchio di una camera da letto su cui giace un corpo dalla forma incompleta o indefinibile. 
 
Tra le scene più forti, paradossalmente, c'è quella della violenza (anche questa, accennata e staccata pochi istanti prima della sua messa in atto) sul piccolo gatto catturato mentre sul fornello della cucina , in una pentola piena d'acqua bollente, sta cuocendo una testa umana. 
 
Non una lettura da signorine, comunque, ma un romanzo che mescola il piacere delle parole all'orrore di una tra le vicende più agghiaccianti della storia della criminologia.

 

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La Cacciatrice D'Orsi - Sara Cabitta
Un romanzo che immerge il lettore, ma lentamente, senza fretta di arrivare alla fine, nella storia di Merice, che non è (non solo) la tenutaria di un bordello ma anche qualcosa di più, qualcosa che ha trasformato l'odio, la paura, la disperazione e l'impotenza in fascino e desiderio di rivalsa. 
La scrittura di Sara Cabitta è fredda, incalzante, usa moltissimo frasi brevi e poco periodi lunghi e complessi: così facendo riesce ad amalgamare lo stile del romanzo alla figura di Merice, alla sua fame che è bisogno viscerale di vendetta feroce e animalesca. 
 
Questo è un romanzo fantasy, una storia che si svolge in un periodo indecifrabile nel tempo e nello spazio, un non-luogo dove esistono streghe che finiscono al rogo e altre che sono in grado di fare veri malefici. Dove si incontrano dottori che non si fa fatica a immaginare vestiti di lunghi tabarri ottocenteschi e povere contadine abusate da nobili corrotti che sfruttano il potere per i propri affari. Un luogo senza confini circondato da boschi dove si aggirano spettri divoratori e animali a caccia di uomini.
 
La Cacciatrice D'Orsi, dicevo, è un fantasy prima di tutto ma, come anticipato nella sinossi, è un "romanzo di confine" che dal fantasy si sposta nel campo dell'horror e del thriller e anche, ma in maniera quasi sottile che si percepisce a fatica, nel sentimentale. 
Alla base della storia, alla radice della vendetta di Merice, infatti, c'è una storia d'amore. Un amore imperfetto, scandaloso e straziato da eventi che lo abbattono senza pietà, lasciando a terra due corpi lacerati e umiliati. E l'amore continua a guidare le azioni di Merice anche dentro la Casa di Dietro, e quell'amore le impedisce di capire in tempo l'inganno che alcuni, tra i volti che ama, le stanno cucendo alle spalle. L'amore, alla fine, le impedirà di difendersi e di portare a compimento la sua vendetta.
 
Un romanzo, questo di Sara Cabitta, che meriterebbe una maggiore condivisione perché, pur essendo lontano dalla grande distribuzione, nondimeno manifesta tutti i requisiti di un prodotto curato e studiato in ogni suo aspetto, dalla grafica di copertina, all'impaginazione, alla revisione (credo un solo refuso) e, soprattutto, alla storia raccontata.
 
La Cacciatrice D'Orsi ha una trama solida costruita su una solida struttura, con personaggi perfettamente delineati e caratterizzati, uno stile dove il linguaggio forbito proprio di alcune situazioni si mescola alla descrizione cruda di aggressioni ferine dove il sangue gronda e nessuno viene risparmiato, nemmeno i bambini.
Una storia in cui il dolore diventa tanto straziante da trasformarsi in furia cieca eppure, alla fine, la vendetta non lenisce il dolore e tutto si risolve in una morte divorante.
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